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Franca Rame nasce a Parabiago, un piccolo
paese (allora) in provincia di Milano, per un caso: la sua famiglia recitava lì.
Il padre Domenico, la madre Emilia, il fratello Enrico, le sorelle Pia e Lina, gli
zii e cugini, con aggiunta d'attori e attrici scritturati, costituivano una compagnia
familiare “girovaga” che si esibiva in un suo teatro in legno, smontabile, che conteneva
oltre 800 posti a sedere e giravano per i paesi e le cittadine della Lombardia,
Veneto e Piemonte, recitando drammoni e operette. (Durante la guerra venne requisito
dal governo e fu usato come ospedale da campo).
La simpatia e i consensi erano grandi.
La Famiglia Rame aveva tradizioni teatrali antichissime, risalenti al 1600; erano
attori, burattinai o marionettisti secondo le occasioni.
Con l'avvento del cinema decidono di abbandonare burattini e marionette e di passare
al "Teatro di Persona", arricchito con tutti gli "effetti speciali" del teatro con
pupazzi.
Nella miglior tradizione della Commedia dell'Arte, recitano improvvisando, utilizzando
un repertorio di situazioni e dialoghi tragici e comici.
I testi degli spettacoli andavano dal teatro biblico a Shakespeare, da Cechov a
Pirandello, da Nicodemi ai grandi romanzi storici a sfondo sociale dell'800, spesso
legati al pensiero socialista e anticlericale. Così erano rappresentate, solo per
citarne alcune, le vite di Giordano Bruno, Arnaldo da Brescia e Galileo Galilei.
Spesso capitava che debuttassero in una nuova cittadina o paese mettendo in scena,
dopo aver fatto inchiesta-ricerca tra la popolazione, i fatti salienti, tragici
o comici avvenuti in quel luogo, comprese le vicende legate al Santo o alla Santa
Patrona.
Domenico Rame, oltre che primo attore, era, diremmo oggi, il manager della compagnia.
Suo fratello Tommaso, di fede socialista, era il poeta, il ruolo che copriva nella
compagnia era l'antagonista o il comico brillane.
Spesso, gli incassi delle serate erano devoluti in sostegno alle lotte operaie,
fabbriche in occupazione, o per contribuire alla costruire di asili o altri scopi
benefico-sociali.
Di questa attività esiste una documentazione accuratissima nell'archivio RAME-FO,
conservata probabilmente, dalla madre di Franca, Emilia Baldini, maestra, figlia
di un ingegnere del comune di Bobbio.
Dagli appunti della biografia di Franca Rame (che un giorno, forse, troverà il tempo
di ultimare...):
"Il padre ingegnere, la madre casalinga. Undici figli: sette femmine, quattro maschi.
Poveri come l'acqua, dignitosi, di una certa classe sociale, con troppe bocche da
sfamare, da far studiare e vestire.
Maschi e femmine non potevano mai uscire tutti insieme: mancavano le scarpe.
"L'Emilia", la mia mamma, a 17 anni diventa maestra.
Per quei tempi era già tanto. La mandano a insegnare in una sperduta scuola in montagna,
ospite di un cugino prete, giovane, grasso e gentile che, per quanto cercasse salvezza
nell'aiuto nel Signore, si innamora perdutamente di lei.
Un bel momento, bruttissimo per la giovane cattolica-fervente-praticante-Emilia,
le palesa il suo perdimento. Si vuole spretare e tenta pure di baciarla. Vola un
ceffone sul facciotto pallido del pover pretino e quasi soffocando per l'indignazione,
l'integerrima maestrina se ne torna a casa a piedi, che era già scuro e c'era pure
la neve.
Arriva il principe azzurro.
Di mio padre si innamora poco dopo la storia del pretino.
Me la immagino.
La vedo giovane, bellissima.
E quando dico bellissima voglio proprio dire "incantevole al naturale". Guadatela!
(Nessuno di noi quattro figli, pur assomigliandole, s'è avvicinato a tanta autentica
beltà).
Mio padre Domenico Rame, un principe azzurro "marionettista girovago", 1746 arriva
a Bobbio su un carro con tutta la sua famiglia: il fratello Tommaso, la sorella
Stella, il padre Pio, grande estimatore di Garibaldi, tanto da portare una barba
come la sua.
L'unico ritratto in nostro possesso lo raffigura vestito e somigliante all'eroe!
A quel tempo, in un paesotto (ora cittadina) come Bobbio, l'arrivo delle marionette
doveva essere certamente un evento.
I miei genitori si conoscono a carnevale, ad un gran ballo: le sette sorelle Baldini
con costumi d'epoca cuciti da loro stesse, folgoravano i maschi presenti, sotto
lo sguardo attento di tutta la famiglia.
Arriva lui… il mio papà… "Era bellissimo! Aveva un costume azzurro… M'ha invitato
a ballare sette volte. E mi stringeva anche!" cinguettava mia madre illuminata dal
ricordo e per nulla imbarazzata da tanto ardire.
Fulminati!
Ma lui, finita la stagione in quel di Bobbio se ne va. Lei sicuramente piange.
Dopo un anno di lettere d'amore, "il Domenico" torna e se la sposa, con grande scandalo
della famiglia e del paese. E sì, perché tutte le altre sorelle erano fidanzate
con tipi ben piazzati, il professore, il giudice, il direttore di banca.
E lei? Il marionettista, col suo carro e senza fissa dimora. Altro che scandalo.
Bellissima, giovane, innamorata, cerca con tutte le sue forze di adeguarsi alla
nuova vita, tanto diversa da quella che aveva condotto sino a quel giorno.
Aiuta la famiglia come può.
Non sa manovrare le marionette, ma si ingegna a cucire vestiti e rinnova tutto il
guardaroba dei pupazzi di legno.
Che storia! Pare inventata
L'Emilia è molto orgogliosa di quello che fa. Più avanti, dirà qualche battuta.
Nel 1920, con l'avvento del cinema, i fratelli Rame intuiscono che "Il teatro delle
marionette", come abbiamo accennato, sarebbe presto entrato in crisi, schiacciato
da questo nuovo magico mezzo di spettacolo. Decidono un cambiamento radicale (con
grande dolore del nonno Pio): "Reciteremo noi di persona, entreremo in scena noi".
Così mio padre con l'Emilia, la zia Stella, lo zio Tommaso con la moglie Maria (nuova
recluta della compagnia), si sostituiscono ai pupazzi di legno, vere e proprie sculture,
tre delle quali sono esposte al Museo della Scala di Milano donate dalla mia famiglia.
E lei, la mia mamma, diventa la prima attrice.
Un'attrice che di giorno si occupa della casa, tiene l'amministrazione della compagnia
e alla sera, via!… e Giulietta e Tosca, e la Suora Bianca dei "Figli di nessuno",
e la Fantina dei "Miserabili", tutti ruoli che di volta in volta interpreteremo
anche noi figlie e le cugine Ines e Lucia. Mi vedo percorrere l'apprendistato dei
teatranti interpretando tutti i ruoli che crescendo erano adatti alla mia età, maschili
o femminili che fossero.
Il vantaggio della compagnia di mio padre rispetto alle altre compagnie di giro,
(così si chiamavano le piccole compagnie di provincia) consisteva nell'allestimento
scenico: i Rame avevano avuto la grossa idea di impiegare nel "teatro di persona"
tutti i trucchi scenici in uso nel teatro fantastico delle marionette: montagne
che si spaccano in quattro a vista, palazzi che crollano, un treno che appare piccolissimo
lassù, nella montagna e che man mano che scende s'ingrandisce fino ad entrare in
scena con il muso della locomotiva a grandezza quasi naturale. Mari in tempesta,
nubi che solcano minacciose il cielo tra lampi e tuoni, gente che vola, scene in
tulle in proscenio, che illuminate con maestria ti facevano immaginare come fosse
il paradiso. Insomma tutti gli espedienti tecnici dell'antico teatro seicentesco
dei Bibbiena, che viveva ancora dentro la scenotecnica delle marionette.
In questa nuova veste la Compagnia di mio padre realizza un successo insperato.
Si lavorava tutte le sere, 363 giorni l'anno. Si riposava solo il venerdì santo,
e il 2 dei morti, a novembre.
O se c'era il funerale di un defunto importante del paese: il prefetto, il podestà,
il dottore, il prete, il farmacista. La domenica, la compagnia si divideva in due
equipe che mettevano in scena testi diversi in luoghi diversi. Si arrivava così
a realizzare 4 spettacoli.
Ci si spostava di paese in paese, città e cittadine con una corriera che chiamavamo
"Balorda" per gli improvvisi blocchi del motore e le egualmente miracolose riprese
di funzionamento. Guai ad insultarla o a prenderla a calci. Solo espressioni gentili
la inducevano a riprendere con adeguati scoppiettii il cammino. In certi paesi nei
quali ad una certa ora del giorno si passava, nei turnichè particolarmente ripidi,
LEI, la vecchia signora, NON CE LA FACEVA, ansimava proseguendo a strappi penosi.
C'erano sempre dei ragazzi che attendevano sulle prime rampe, pronti ad intervenire.
Spingevano la Balorda fra tante risate, poi la sera ci raggiungevano ed entravano
a godersi lo spettacolo gratis.”
E' lei, la signora Emilia, che insegna ai quattro figli, a recitare i vari ruoli
e a muoversi sulla scena. Viene ricordata come donna eccezionale, puntigliosissima
e ottima organizzatrice: autentica "reggitora" della famiglia dei comici.
In quell'ambiente Franca Rame ha fatto il suo apprendistato. Ha sempre sentito il
palcoscenico come casa propria "(…) perché - dice - ci sono nata: ho debuttato a
otto giorni, interpretavo il figlio di Genoveffa di Bramante, in braccio a mia madre...
non parlavo tanto quella sera lì!" Nella stagione 1950-'51 Franca Rame, seguendo
la sorella Pia, lascia la famiglia e viene scritturata dalla compagnia primaria
di prosa Tino Scotti (Pia Rame, Sandra Mondaini, Annì Celli) per la commedia "Ghe
pensi mi" di Marcello Marchesi - Teatro Olimpia di Milano.
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